martedì 7 marzo 2017

 Lo Sguardo Critico

FRANK GEHRY



«Quand' ero bambino restavo spesso seduto accanto a mio nonno per leggere il Talmud, [...] la cosa più interessante nel Talmud è che vi si pongono sempre delle domande: "Perchè non altrimenti? E com'è fatto? Come funziona?". Così, sin dall'inizio io ho avuto una sorta di curiosità, di volontà di porre delle questioni...»

Gehry, Frank O. (propr. Ephraim Owen Goldberg) architetto canadese naturalizzato statunitense è tra i più influenti progettisti contemporanei. Gehry inizia con una serie di progetti nei quali la ricerca decostruttiva assume una densità assolutamente particolare; la sua ricerca è caratterizzata da un processo di scomposizione dell'edificio in unità volumetriche, riassemblate poi con una solo apparente illogicità, e dalla predilezione per le linee oblique e per materiali spesso inusuali (rete metallica, lamiera ondulata ecc.). 
Coevo o addirittura in anticipo sul lavoro dei Five, Gehry produce in una quindicina d'anni una serie di costruzioni che scavano la logica modernista lasciandone implodere gli elementi attraverso la segmentazione delle componenti e delle funzioni.


L'austerità dello Studio Danziger a Hollywood e della Gemini G.E.L. Gallery, come la Casa Davis e la Wagner Residence a Malibou, su fino alla sua celeberrima abitazione a Santa Monica, organizzano un sistema di spazi complesso a partire da una lettura intelligente dell'one-room building di Philip Johnson: l'interno delle abitazioni esplode letteralmente sull' esterno, decostruisce la facciata, detronizzando così la scena borghese della città composta da quinte teatrali che ne raccontino il mito o ne veicolino i messaggi commerciali: nel lavoro di Gehry  l'oggetto architettonico è decostruito e parla dunque attraverso le diverse stratificazioni dei suoi spazi e dei suoi materiali.
Casa studio Danziger Hollywood 1964-65

Gemini G.E.L. Gallery, Los Angeles

Gehry Residence, Santa Monica  1978 
Incomprensibile sarebbe questo primo complesso di progetti senza tener conto della cultura pop delle spiagge di Los Angeles, intrecciata alle caratteristiche del landscape californiano: con i suoi deserti e le sue colline, il pacifico e le sue spianate di natura selvaggia, le autostrade e i centri commerciali. Impossibile immaginarne la traiettoria senza tenere in conto le fotografie prese dallo stesso Gehry, a spasso per la zona industriale di Santa Monica, nel 1970. Oggetti apparentemente banali che restituiscono l'immagine del territorio americano in termini di «eredità epica» della «totalità fantasmatica» incarnata dagli spazi delle fabbriche e dei distretti in abbandono: assi di legno, reticoli in acciaio, ondulati in plastica costituiscono così i primi materiali, l'arte povera, con la quale il lavoro dell'architetto cerca di esprimere la natura dell'industria e della sua parabola nel secondo Novecento. I prodotti di massa divengono qui componenti vitali, la vita li decostruisce e ricompone in un movimento che va dall'interno verso l'esterno destituendo così la morfologia banale e immediata degli edifici di qualsivoglia importanza. Nessuna marca stilistica e alcun camuffamento ideologico, assilla questi progetti, che perciò ci paiono così importanti. In seguito, nel decennio '80-'90 Gehry inizia a comporre gli edifici per volumi elementari, marcati essenzialmente dalla specificità dei materiali utilizzati, dall'intonaco allo zinco, dalla pietra al rame, come in una successione di nature morte di Giorgio Morandi.



Tutt'altro lo spettacolo che ci si para davanti ai primi anni Novanta. Come è noto Frank Gehry è colui che ha colto la sfida di portare a compimento la completa negazione dell'oggetto architettonico, secondo molti, avendo egli per primo compreso tutta l'importanza e le implicazioni dirompenti dell'utilizzo dell'informatica 3D per l'architettura. Almeno a partire dal 1992, infatti, Gehry chiede alla Dessault Systèmes, azienda specializzata in software per la costruzione dei Boeing e dei Mirage, di adattare il loro programma CATIA alla progettazione di edifici. Qui è la svolta. Gehry inizia a realizzare schizzi, costruisce plastici estremamente imprecisi - e terribilmente infantili - che poi inserisce nel computer. Da CATIA nascono dunque i tanti progetti così come il celeberrimo museo Guggenheim di Bilbao. Ed ancora tutti gli edifici del decennio successivo: corpi sottoposti a forze che ne piegano le forme, ne frammentano le singole parti, ne spezzano continuamente la monolicità, e aprono all'ambizione di risolvere l'architettura in un atto scultoreo. 




Nessun commento:

Posta un commento