Lo
Sguardo Critico
FRANK GEHRY
«Quand' ero bambino restavo spesso seduto accanto a mio nonno per leggere il Talmud, [...] la cosa più interessante nel Talmud è che vi si pongono sempre delle domande: "Perchè non altrimenti? E com'è fatto? Come funziona?". Così, sin dall'inizio io ho avuto una sorta di curiosità, di volontà di porre delle questioni...»
Gehry,
Frank O. (propr. Ephraim Owen Goldberg) architetto canadese
naturalizzato statunitense è tra i più influenti progettisti
contemporanei. Gehry inizia con una serie di progetti nei quali la
ricerca decostruttiva assume una densità assolutamente particolare;
la sua ricerca è caratterizzata da un processo di scomposizione
dell'edificio in unità volumetriche, riassemblate poi con una solo
apparente illogicità, e dalla predilezione per le linee oblique e
per materiali spesso inusuali (rete metallica, lamiera ondulata
ecc.).
Coevo
o addirittura in anticipo sul lavoro dei Five,
Gehry produce in una quindicina d'anni una serie di costruzioni che
scavano la logica modernista lasciandone implodere gli elementi
attraverso la segmentazione delle componenti e delle funzioni.
L'austerità
dello Studio
Danziger a
Hollywood e della Gemini
G.E.L. Gallery,
come la Casa
Davis e
la Wagner
Residence a
Malibou, su fino alla sua celeberrima abitazione a Santa Monica,
organizzano un sistema di spazi complesso a partire da una lettura
intelligente dell'one-room
building di
Philip Johnson: l'interno delle abitazioni esplode letteralmente
sull' esterno, decostruisce la facciata, detronizzando così la scena
borghese della città composta da quinte teatrali che ne raccontino
il mito o ne veicolino i messaggi commerciali: nel lavoro di Gehry
l'oggetto architettonico è decostruito e
parla dunque attraverso le diverse stratificazioni dei suoi spazi e
dei suoi materiali.
Casa studio Danziger Hollywood 1964-65 |
Gemini G.E.L. Gallery, Los Angeles |
Gehry Residence, Santa Monica 1978 |
Incomprensibile
sarebbe questo primo complesso di progetti senza tener conto della
cultura pop delle spiagge di Los Angeles, intrecciata alle
caratteristiche del landscape californiano: con i
suoi deserti e le sue colline, il pacifico e le sue spianate di
natura selvaggia, le autostrade e i centri commerciali. Impossibile
immaginarne la traiettoria senza tenere in conto le fotografie prese
dallo stesso Gehry, a spasso per la zona industriale di Santa Monica,
nel 1970. Oggetti apparentemente banali che restituiscono l'immagine
del territorio americano in termini di «eredità epica» della
«totalità fantasmatica» incarnata dagli spazi delle fabbriche
e dei distretti in abbandono: assi di legno, reticoli in acciaio,
ondulati in plastica costituiscono così i primi materiali, l'arte
povera, con la quale il lavoro dell'architetto cerca di esprimere
la natura dell'industria e della sua parabola nel
secondo Novecento. I prodotti di massa divengono qui componenti
vitali, la vita li decostruisce e ricompone in un movimento che va
dall'interno verso l'esterno destituendo così la morfologia banale e
immediata degli edifici di qualsivoglia importanza. Nessuna
marca stilistica e alcun camuffamento ideologico, assilla questi
progetti, che perciò ci paiono così importanti. In seguito,
nel decennio '80-'90 Gehry inizia a comporre gli edifici per volumi
elementari, marcati essenzialmente dalla specificità dei materiali
utilizzati, dall'intonaco allo zinco, dalla pietra al rame, come in
una successione di nature morte di Giorgio Morandi.
Tutt'altro
lo spettacolo che ci si para davanti ai primi anni Novanta. Come è
noto Frank Gehry è colui che ha colto la sfida di portare
a compimento la completa negazione dell'oggetto architettonico,
secondo molti, avendo egli per primo compreso tutta l'importanza e le
implicazioni dirompenti dell'utilizzo dell'informatica 3D per
l'architettura. Almeno a partire dal 1992, infatti, Gehry chiede
alla Dessault Systèmes, azienda specializzata in software per la
costruzione dei Boeing e dei Mirage, di adattare il loro programma
CATIA alla progettazione di edifici. Qui è la svolta. Gehry
inizia a realizzare schizzi, costruisce plastici estremamente
imprecisi - e terribilmente infantili - che poi inserisce nel
computer. Da CATIA nascono dunque i tanti progetti così
come il celeberrimo museo Guggenheim di Bilbao. Ed ancora tutti gli
edifici del decennio successivo: corpi sottoposti a forze che ne
piegano le forme, ne frammentano le singole parti, ne spezzano
continuamente la monolicità, e aprono all'ambizione di risolvere
l'architettura in un atto scultoreo.
http://www.treccani.it/enciclopedia/frank-gehry/
https://www.alfabeta2.it/2014/11/16/povera-arte-frank-gehry/
http://www.archimagazine.com/gehry.htm
https://www.alfabeta2.it/2014/11/16/povera-arte-frank-gehry/
http://www.archimagazine.com/gehry.htm
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